L’albero che vorrei essere

Circolo dei lettori, Torino. Tempo fa mi trovavo alla presentazione di un libro o meglio, di una raccolta di storie di persone provenienti da tutto il mondo con in comune l’essere approdate in Piemonte dopo un percorso migratorio. La sala, una bellissima e antica libreria, faceva da sfondo e abbracciava le diverse storie di vita che venivano raccontate dai diretti protagonisti.

Come quella di Chimére, musicista senegalese in Italia ormai da anni, che raccontava di come, inizialmente, veniva visto con paura dalla piccola comunità in cui stava mettendo radici e che, per via del colore della pelle, veniva chiamato l’uomo d’ombra.

Poi ho ascoltato la storia di Maria, arrivata dalla Scozia, che al contrario, invece, veniva derisa per la pelle bianca troppo bianca; oppure la storia di Alina, rumena dai tratti somatici mediterranei, e dei cinque minuti, non uno di più, che dispone per conquistarsi la rispettabilità dell’interlocutore di turno, prima che questo si accorga delle sue origini, facendosi spaventare dai fantasmi derivanti dalle culture Rom. E poi ancora Nadejda, donna moldava che sorride con tutto il viso, campionessa mondiale di dolcezza e simpatia, e quella di Acberet, di origine eritrea ma da anni, ormai, una piemontese che si sente addosso persino la sabaudità torinese. Ho ascoltato tante storie di vita differenti ma simili tra loro, accomunate dalla fatica, si, ma anche dalla determinazione. Nella mia mente, quelle storie, sono diventate semi trasportati dal vento, semi di alberi diversi.

Era una sera particolarmente calda con un’aria che soffiava sul collo che pareva un phon acceso e, mentre camminavo verso casa, ho immaginato che quei semi, così profondamente raccontati, attecchissero tutti insieme in un solo punto, nello stesso angolo di terra. E così, dalla Scozia, un seme di Pino silvestre, l’albero simbolo nazionale, si insediava per primo nel terreno facendo crescere velocemente il tronco e lanciandolo verso l’alto. In suo aiuto, dal Senegal, un seme di Baobab, fondendosi con esso, metteva a disposizione la peculiarità di albero capace di radunare gli uomini sotto ai suoi rami e di farli danzare. E poi, sempre trasportato dal vento, un seme di solida Quercia rumena si univa ai due, regalando longevità, mentre un seme di Olivello spinoso moldavo, con i tipici grappoli di bacche arancioni, apportava gusto e vitamine. Infine, un seme di Palissandro eritreo completava quest’albero con un’incantevole fioritura.

In quel tragitto, quella sera, era nato un albero straordinario, che dall’unione di semi così diversi tra loro, ne aveva fatto la sua forza e la sua bellezza. Semi coraggiosi, senza paure, semi che, trasportati dal vento da una terra all’altra nella terra di tutti, erano cresciuti diventando un albero bellissimo, un albero immaginifico, l’albero che vorrei essere.

L’immagine di copertina di questo articolo è frutto delle abili mani di Davide Tosches, che ha accolto la richiesta di unire tutti gli alberi raccontati in un unico grande albero, realizzando questo capolavoro. Grazie! 

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