Il giardino in bottiglia fiorisce tra le sbarre

David Zonta, Torino

L’ambiente è angusto, ruvido e cementifero, sbarre e cancelli ovunque. Posso assicurare che il rumore di quei cancelli che sbattono dietro alle spalle ti rimane impresso per del tempo.

Comunque sia, svanito l’effetto del primo giorno, in parte ti ci abitui e tutto inizia in qualche modo a scorrere. Sono entrato al carcere di Torino a Le Vallette, con sacchi di bottiglie di plastica vuote utili a realizzare un giardino verticale. È il concetto di contenitore riutilizzato che mi ha dato l’idea. Il contenitore che si rigenera, si rinnova e prende nuova forma come metafora per chi cerca di ricostruirsi una vita. Bottiglie vuote che diventano vasi per piante, l’una a fianco all’altra a copertura, manco a dirlo, di una barriera di ferro.

E in questa metafora si sono inseriti alcuni racconti di ricordi legati all’orto e al giardinaggio dei ragazzi che hanno partecipato al laboratorio. Spaccati di vita lontana che, stuzzicati dal mio persistere e incalzante desiderio di conoscenza, sono venuti al pettine come nodi di ricordi mai in fondo dimenticati e dimenticabili.

Come ad esempio la storia di Toni, che nella sua Palermo sentiva da lontano il profumo dolce degli aranci quando, di mattina presto, si alzava per accompagnare lo zio alla raccolta e riceveva dritte su come coltivare la fagiolina.

Oppure la storia di Papi che svela ai suoi stupiti compagni di essere un esperto coltivatore di arachidi, e di averlo fatto da quando ha ricordo, insieme al nonno, nella campagna non distante da Dakar, nel Senegal. E poi ancora le mini angurie che lo zio di Giulio, calabrese doc, coltivava e raccoglieva ancora verdi, per metterle poi sotto grappa. Infine, la storia di Ayoub, marocchino di Casablanca, che a 8 anni si arrampicava sui tetti delle case per raccogliere i fichi d’India più alti e quindi più maturi e gustosi, salvo poi cadere giù vestendosi di spine, che solo una pomata miracolosa a base di chissà cosa, spalmatagli dalla nonna, riuscì a guarirlo.

Tante storie ordinarie di ragazzi in difficoltà che provano, almeno ci provano, a recuperare un riconoscimento sociale e a imparare un mestiere per poter iniziare davvero a vivere. Storie di uomini, piante e ortaggi, di terra e fatica, storie che uniscono e che ora si trovano all’interno di un giardino in bottiglia, pronto a vegetare, fiorire e si spera, a dare frutti. Per una volta, una bella storia da raccontare.

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