Fiori come nasi rossi nel giardino del clown

David Zonta, Torino

Ti andrebbe di visitare la dimora di un clown? Una grande villa con un parco nel quale si trova persino un laghetto. Ma non è solo la casa di un clown, si tratta della villa del più grande clown di tutti i tempi e che ora è diventata un museo.

Con questa premessa settimana scorsa mi sono ritrovato dinanzi al cancello d’ingresso di Villa Grock, a Imperia. L’idea di visitare la casa del più celebre clown che sia mai esistito mi emozionava davvero tanto.

Charles Adrien Wettach, in arte semplicemente Grock, nato in Svizzera il 10 gennaio 1880, consacrato “Re dei clown” all’Olympia di Parigi nel 1919, fu una vera e propria star internazionale del secolo scorso, e fu da esempio per tutti i clown circensi di lì a venire. Fino al suo addio alle scene, che avvenne nel 1954, cinque anni prima della sua morte, strabiliò gli occhi e spellò le mani di tutto il mondo con le sue doti di giocoleria, di equilibrismo, di acrobazia.

Oltre a saper suonare svariati strumenti musicali e parlare più lingue correntemente, Grock si occupò personalmente di guidare il progetto di costruzione della villa, che sorprende per l’originalità difficilmente riconducibile ad uno stile preciso. Sembra piuttosto di camminare in un autoritratto, almeno questa è stata la sensazione che ho vissuto durante la visita che mi ha fatto conoscere la figura di un uomo dolce e geniale, di straordinaria personalità, giocosa e creativa.

E questa giocosità, a me tanto cara, la si ritrova, irridente, anche visitando il parco. In principio, il senso di trasandata sgarrupatezza, quasi malinconica, che il giardino mostrava di sé, mi contrariava, ma, a mano a mano che ci camminavo dentro, tra lampioni di palle colorate, fontane come corone di regina, e un laghetto da favola di Biancaneve, tutto trovava un suo equilibrio.

L’illuminazione l’ho avuta avvistando in lontananza, ai bordi di una grande scala, un gruppo di fiori rossi, tondi, svolazzanti e giocosi con le proprie ombre riflesse sul selciato. Erano papaveri tra qualche malerba e sassolini di ghiaia, erano papaveri tra il nulla. E lì ho capito perché tutto d’improvviso mi pareva perfetto.

I papaveri rossi, selvatici di professione, erano lo specchio giocoso dell’eclettico proprietario e coloravano di rosso, come nasi di clown, la bellezza, il fascino e il mistero di questo luogo incantato, trasmettendone il malinconico e celeberrimo sorriso.

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