Finalmente il papavero

Papaveri

E finalmente è arrivato il momento di parlarvi del Papavero, del fiore che fu fonte di ispirazione per Monet e Van Gogh, che è protagonista in diverse canzoni, come “La guerra di Piero” di De Andrè, ad esempio, e che è forse il fiore più fotografato e lo trovi ovunque, impresso sui poster, in adesivi murali, nelle tovagliette americane della colazione.

 Il Papavero rosso, Papaver Rhoeas, chiamato anche “rosolaccio”, è un’autentica forza della natura. E’ una pianta che si trova ovunque ci sia del terreno dove poter crescere: campi coltivati, tra le rovine di una vecchia casa, sui cigli delle strade, non fa differenza, non ha grandi preferenze, quindi se li vedi li è solo perché sono quelli che vedi per primo, prova ad alzare gli occhi e li scorgerai ovunque; un po’ come quando, dopo ore di cammino per boschi, trovi finalmente un fungo e non ti pare vero e poi, come per magia, li accanto o nelle strettissime vicinanze, ne vedi altri due, e poi un altro e un altro ancora e in un attimo ti ritrovi immerso in un cesto di funghi che neanche te lo immagini. Così mi viene riportato, non ho mai avuto il piacere.

Ma per i papaveri è diverso. I papaveri si fanno notare, mica si confondono come i funghi. Svettano alti alti (cit), tra le erbe o le malerbe o tra il grano, con petali rosso fuoco e una macchia nera al centro, come un grande occhio che vigila e osserva. Spesso li si vede piegati come se stessero facendo un inchino, un benvenuto al primo sole del mattino, e si lasciano accarezzare e scompigliare dalle leggere folate di vento che li asciuga dell’umidità notturna e li prepara alla lunga giornata di sole, alla rappresentazione scenica, quasi teatrale, che li conduce fino a chiudere il sipario serale facendosi cadere i petali a terra. Dura un giorno o poco più, infatti, lo spettacolo della fioritura, ma non c’è da rammaricarsi, perché una pianta è in grado di far sbocciare anche 400 fiori, quindi lo spettacolo verrà replicato da Maggio a Settembre, ogni giorno, potete abbonarvi.

Inoltre, è in grado di auto-seminarsi con grande facilità, quindi di anno in anno si moltiplicherà, creando macchie sempre più estese, macchie di papaveri come quelle narrate nella leggenda che ci riporta a come Gengis Khan, imperatore e condottiero mongolo, portasse sempre con sé dei semi di papavero da spargere sui campi di battaglia dopo le sue vittorie, per onorare i caduti. E di come, tornando a fiorire ogni anno, e macchiando di nuovo di rosso quei campi, i papaveri avrebbero ricordato per sempre che là si era svolta una battaglia.

E quindi onoriamolo a dovere il papavero e osserviamolo da vicino: un esile stelo contorto e sinuoso ricoperto da una sottile peluria, un fiore che si erge sopra a tutto. Il bocciolo in cima ad un collo di cigno che si apre spaccandosi e svelando petali che paiono carta stropicciata, delicati e forti al tempo stesso. La peluria sul gambo come pelle d’oca, emozione continua d’uno spettacolo così intenso e così fugace. Il papavero è un rapimento senza riscatto e senza rilascio. Provate a chiudere gli occhi e immaginarvi in quel prato di spighe e erbacce, sdraiatevi e guardateli dal basso, con la luce del tramonto negli occhi…Il papavero lo si ama per davvero, punto.

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